LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI CATANZARO 
                              Sezione 1 
 
    riunita con l'intervento dei signori: 
        Spagnuolo Mario - Presidente; 
        Durante Nicola - relatore; 
        Maione Francesco Maria - giudice, 
    ha emesso la seguente ordinanza: 
        sull'appello n. 362/2015 spedito l'11 febbraio 2015; 
        avverso  la  sentenza  n.  3635/2014  Sez.  4  emessa   dalla
Commissione tributaria provinciale Cosenza; 
    Contro: Scarlato Gennaro, via Cassiodoro n.  44,  87067  Rossano,
difeso da: Malta Giovanni,  via  Cassiodoro  n.  44,  87067  Rossano,
proposto dall'appellante: Ag. Entrate Direzione provinciale Cosenza. 
    Atti impugnati: 
        avviso di accertamento n. 80801CG00020/2009 Irpef-Altro 2004; 
        avviso di accertamento n. 80801CG00020/2009 IVA-Altro 2004; 
        avviso di accertamento n. 80801CG00020/2009 IRAP 2004. 
 
                      Svolgimento del processo 
 
    L'Agenzia delle entrate appella la sentenza della CTP di Cosenza,
Sez. IV, n. 3636/04/2014, depositata il 5 giugno 2014, che ha accolto
un ricorso relativo ad una rettifica del reddito ai fini Irpef ed IVA
per l'anno 2004. 
    Il contribuente ha controdedotto e spiegato  appello  incidentale
sulla mancata condanna alle spese dell'amministrazione soccombente. 
    Con   successiva   memoria   ha    eccepito    l'inammissibilita'
dell'appello  per   omesso   deposito   dell'avviso   di   spedizione
dell'appello. 
    All'udienza del 23 marzo 2016, sulle conclusioni come da  verbale
e sentito il relatore, la causa e' stata trattenuta in decisione. 
 
                       Motivi della decisione 
 
    L'eccezione  di  inammissibilita'  e  destituita  di  fondamento,
avendo prodotto l'ente impositore un documento, riportante la data di
spedizione attestata dalla Posta, la quale, in quanto  terzo  addetto
alla notifica, e  deputata  a  certificare  incontrovertibilmente  di
avere ricevuto l'atto in questione in quella (cfr.  Cassazione  civ.,
Sez. tribunale, 10 agosto 2010 n. 18551). 
    Nel merito, l'appello e' infondato e va respinto. 
    Ed invero, la decisione impugnata ha ritenuto invalido l'atto  di
rettifica perche' motivato per relationem al processo  verbale  della
Guardia di finanza, la quale, a sua volta, ha utilizzato  «rilievi  e
congetture non concordanti e non dimostrabili». 
    Sul punto, occorre premettere che nessuna violazione dell'art. 7,
comma 1, della legge 27 luglio 2000 n. 212 puo'  ascriversi  all'atto
impositivo a  cagione  della  sua  motivazione  per  relationem  alle
conclusioni della Guardia di finanza, quando si tratti  di  documento
formato nel  contraddittorio  con  la  parte  privata  che,  avendolo
sottoscritto, ne ha piena conoscenza (cfr. Cassazione civ.,  Sez.  V,
13 ottobre 2011 n. 21119). 
    Al contrario, la documentazione utilizzata per l'accertamento  in
parola riguarda un processo  verbale  della  Guardia  di  finanza  di
Sondrio, relativo  ad  altro  soggetto  e  non  reso  preventivamente
conoscibile al contribuente. 
    Va respinto il  ricorso  incidentale,  col  quale  si  chiede  la
condanna dell'amministrazione soccombente al pagamento delle spese di
giudizio  del  giudizio  di  prime   cure,   dichiarate   compensate,
trattandosi di potere altamente discrezionale affidato al  giudice  e
ragionevolmente poggiando la detta valutazione sulla  natura  formale
della decisione, che ha dato  ragione  al  ricorrente  senza  entrare
nello scrutinio della sussistenza o meno  della  pretesa  sostanziale
avanzata dal Fisco. 
    Stante la reciproca  soccombenza  tra  le  parti,  le  spese  del
presente giudizio possono essere compensate. 
 
              Questione di legittimita' costituzionale 
 
    Essendo la proposizione dell'appello  successiva  al  30  gennaio
2013, alla reiezione dell'impugnazione, anche incidentale, l'art. 13,
comma 1-quater, del decreto del Presidente della  Repubblica  n.  115
del  2002  fa  seguire  l'accertamento,   ad   opera   del   giudice,
dell'obbligo  di  versare,  a  titolo  di  contributo  unificato,  un
ulteriore importo pari a quello dovuto per l'impugnazione medesima. 
    Trattasi di misura lato sensu sanzionatoria, che  si  applica  ai
casi tipici del rigetto dell'impugnazione o  della  sua  declaratoria
d'inammissibilita' od improcedibilita' (cfr.  Cassazione  civ.,  Sez.
tribunale, 12 novembre 2015 n. 23175), la cui  ratio  va  individuata
nella  finalita'  di  scoraggiare   le   impugnazioni   dilatorie   o
pretestuose (cfr. Cassazione civ., Sez. tribunale, 2 luglio  2015  n.
13636). 
    Sicche', «in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi
di impugnazione, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica
30 maggio 2002 n 115, art. 13 comma 1-quater, inserito dalla legge 24
dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, il giudice dell'impugnazione
e' vincolato, pronunziando il provvedimento che la definisce, a  dare
atto - senza ulteriori valutazioni decisionali  -  della  sussistenza
dei   presupposti   (rigetto   integrale   o    inammissibilita'    o
improcedibilita'  dell'impugnazione)  per  il  versamento,  da  parte
dell'impugnante  soccombente,  dell'ulteriore  importo  a  titolo  di
contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione  da  lui
proposta, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis (cfr.  Cassazione
civ., Sez. III, 14 marzo 2014 n. 5955)». 
    Tutto cio' con l'unico limite che  la  condanna  puo'  riguardare
solamente la parte appellante privata, non potendo essa  avere  luogo
nei  confronti  di  quelle  parti  della  fase  o  del  giudizio   di
impugnazione,  come  le  amministrazioni  dello  Stato,   che   siano
istituzionalmente esonerate, per  valutazione  normativa  della  loro
qualita' soggettiva, dal materiale versamento del contributo  stesso,
mediante il meccanismo della prenotazione a debito  (cfr.  Cassazione
civ., Sez. III, 14 marzo 2014 n. 5955). 
    Dunque,  nella  fattispecie  concreta,   la   condanna   dovrebbe
riguardare solo l'appellante incidentale  e  non  quello  principale,
sebbene rimasti entrambi soccombenti. 
    Orbene,  opina  il  collegio  elle  detta  limitazione  violi  il
principio di parita' delle parti di cui all'art. 111, comma 2,  della
Costituzione. 
    Se, in altri termini, occorre sanzionare, mediante il  versamento
di una somma di denaro tutte le impugnazioni infondate od  irrituali,
perche' potenzialmente dilatorie o  pretestuose,  la  detta  sanzione
deve poter colpire indifferentemente tutte le parti del  processo,  e
non solamente una. 
    E  questo  vale,  particolarmente,  nei  processi,  come   quello
tributario, dove una delle parti e' necessariamente pubblica e  quasi
sempre costituita da un'amministrazione dello Stato. 
    Stante il  divieto  di  pronunciare  sentenze  non  definitive  o
limitate solo ad alcune  domande,  dettato  dall'art.  35,  comma  3,
ultimo periodo, del decreto legislativo n. 546 del  1992  (sulla  cui
legittimita', in termini di ragionevolezza ed efficienza processuale,
per altro, vi sarebbe pure da dubitare),  il  presente  giudizio  non
puo'  essere  definito  indipendentemente  dalla  risoluzione   della
questione di legittimita' costituzionale,  in  relazione  alla  quale
sussistono i presupposti di rilevanza e di non manifesta infondatezza
che   impongono   di   sollevare   la   questione   di   legittimita'
costituzionale.